Sono la madre di Mateo Hoxha, il ragazzo da cui prende il nome questa associazione. Voglio raccontare la storia di mio figlio, voglio far conoscere il leone che c’era in lui, con l’obiettivo che la sua tragedia possa essere fonte d’ispirazione e aiuto ad altri, specialmente per coloro che si trovano in una situazione simile in cui si è trovato il mio leone.
Il calvario di Mateo inizia nei primi giorni di aprile 2017 quando iniziò a lamentare un leggero ma continuo formicolio nella parte destra del labbro, che nei giorni seguenti si estese in tutta la parte destra del viso e contemporaneamente iniziò a perdere l’equilibrio. Mateo era un ragazzo intelligente e curioso, frequentava con successo il liceo scientifico, gli piaceva leggere e conoscere, ricondusse subito quei sintomi ad un possibile tumore, me lo ripeteva sempre, il che mi disperava e naturalmente mi lasciava incredula.
L’11 aprile 2017 decisi dunque di portarlo dal nostro medico di base, il quale dopo la visita disse che probabilmente il tutto era dovuto ad un problema neurologico forse per stress scolastico, ci consigliò quindi dello svago. Decidemmo di dare ascolto alla dottoressa e partimmo per qualche giorno di vacanza in montagna, volevamo stare in tranquillità e lontani dalla vita normale, ma durante quei giorni vedevo qualcosa di strano in mio figlio, i sintomi non miglioravano, anzi peggioravano ed era arrivato ad un punto tale che non riusciva nemmeno a camminare dritto.
Il 18 aprile, rientrati dalla vacanza tornammo dal medico che a quel punto ci prescrisse un consulto presso un neurologo per una visita più accurata, dato l’aggravarsi dei sintomi. Dal neurologo ne uscimmo con la prescrizione di una TAC il cui esito risultò negativo, ma nonostante ciò Mateo venne ricoverato per ulteriori accertamenti dato che i sintomi manifestati non erano certo normali per la sua età. Quando parlai più tardi con Mateo riguardo all’esito della TAC lui mi guardò con i suoi bei occhioni, come a dirmi che c’era qualcosa che non andava, ed anche in quell’occasione io minimizzai e lo rincuorai continuando a ripetergli che tutto sarebbe andato per il meglio e presto ci saremmo dimenticati di quel brutto momento.
Il 21 aprile Mateo venne trasferito in un ospedale specializzato in neurologia, qui gli venne eseguita una risonanza magnetica il cui esito fu devastante, venne evidenziata una piccola macchia nella parte sinistra del tronco encefalico ed era lei la causa del formicolio e di tutti gli altri sintomi. A mio figlio non ebbi il coraggio di dire la verità, gli dissi solamente che aveva dei problemi neurologici e che avremmo dovuto parlare con altri specialisti per saperne di più, lui non credette alle mie parole, me lo disse tempo dopo, mi disse che aveva colto il dolore dentro di me, aveva sentito il mio cuore piangere… Il giorno dopo incontrammo il medico che aveva il compito di dire la verità a Mateo su quanto aveva rilevato la risonanza. Quando entrammo in ambulatorio, il dottore tranquillizzò Mateo, iniziò a fargli delle domande e gli chiese che cosa pensasse veramente di avere, Mateo rispose che secondo lui era un tumore…il medico tacque un attimo e poi disse che avevano trovato una piccola macchia, in quel momento vidi mio figlio commuoversi, ma si riprese subito e si diede animo, fu una cosa straziante. Lo specialista ci spiegò che andava assolutamente fatta una biopsia, senza di quella non si poteva dare un nome a quella maledetta macchia che si nascondeva dentro la testa di mio figlio e senza non si potevano decidere le cure del caso, ci fu spiegato che la biopsia era molto pericolosa in quella zona del cervello, richiedeva molta precisione, infatti se venivano toccati dei nervi sbagliati sarebbe potuto rimanere in stato vegetativo o addirittura morire. Le modalità di esecuzione della biopsia erano due, una da sveglio con minori rischi, l’altra da anestetizzato ma molto più esposta a rischi invalidanti, coraggioso come sempre, Mateo non indugiò, scelse la modalità da sveglio. Nei giorni d’attesa per la biopsia Mateo continuava a ripetermi tutto ciò che una madre non vorrebbe mai sentire dal proprio figlio, diceva che il tumore cresceva, di comprargli una sedia a rotelle perché presto sarebbe diventato invalido e che non dormiva la notte.
Il 17 maggio Mateo venne ricoverato e il 19 maggio alle ore 8:00 trasferito in sala operatoria per l’esecuzione della biopsia. Fu un’ esperienza traumatica vedere il proprio figlio trasportato in sala operatoria indossando un camice verde per un intervento al cervello dall’esito incerto, non la auguro a nessuno. Verso le 11:45 Mateo finalmente venne riportato nella sua stanza, me lo aspettavo diverso, lo immaginavo con una vistosa fascia sulla testa e invece con mia sorpresa era sempre lui, tranquillo, che mi guardava con i suoi splendidi occhi che in quel momento si lasciarono andare ad un pianto liberatorio, ma fu per poco, perché la sua immensa forza d’animo ebbe subito il sopravvento. Appena iniziò a parlare capii che l’operazione non era andata così bene come l’avevano descritta i chirurghi che avevano eseguito la biopsia, Mateo infatti faticava a parlare, a volte doveva fare delle piccole pause e inoltre non riusciva a muovere né il piede né la mano sinistra, ragion per cui ci fu affidata una carrozzina. Mateo descrisse la sua operazione quasi come un’esperienza positiva, disse che si era divertito un mondo con il chirurgo ed era arrivato persino a fargli uno scherzo stando muto durante l’intervento in modo tale che il dottore credesse di aver toccato qualche zona sbagliata, Mateo non perdeva mai l’occasione per essere allegro e positivo. Dopo una decina di giorni arrivò l’esito della biopsia, fu uno dei giorni più brutti della mia vita, il mio cuore cadde a pezzi…la biopsia rivelò la più nefasta delle verità: quella macchiolina indefinita che stava nella testa di mio figlio era un tumore maligno di alto grado le cui possibilità di sopravvivenza sono pari a zero! Sperai con tutta me stessa in un miracolo, volevo vedere Mateo correre, giocare, uscire la sera, andare a scuola, volevo continuare a vivere con lui… A Mateo non dissi la verità, non volevo togliergli la speranza a cui si aggrappava, gli dissi che aveva un tumore di basso grado, e con due anni di radioterapia e chemioterapia il tumore se ne sarebbe andato.
Il 29 maggio Mateo venne trasferito nell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano dove avrebbe dovuto iniziare un ciclo di radioterapia e chemioterapia di sei settimane. Qui conobbe tanti altri suoi sfortunati coetanei con cui condivideva molte cose tra cui la stessa malattia, ma uniti nella disgrazia tutti assieme riuscivano a trovare dei momenti di serenità, senza perdere l’occasione di scherzare. Mateo non venne ricoverato in ospedale, cosi per comodità alloggiammo in un hotel in centro a Milano. In quel periodo approfittammo del posto per concederci anche un po’ di svago, cosi ogni pomeriggio uscivamo per fare delle lunghe passeggiate in Piazza del Duomo o nei vari musei, ci piaceva inoltre degustare nuove pietanze mai provate prima. Nell’immensità della disgrazia che ci stava capitando in quelle sei settimane trovammo ancora dei momenti di vita normale, momenti in cui sorridere ancora insieme.
Il 22 agosto una risonanza magnetica scoprì, con nostra infinita felicità, che la macchia si era rimpicciolita, le cure stavano funzionando e questo accese in noi una speranza, ma non durò per molto. Il 1° novembre, il giorno del suo compleanno, Mateo mi chiamò in camera sua, voleva parlarmi, disse che sentiva che il tumore si stava espandendo, ma io gli dissi che non era vero, non poteva essere vero, la macchia si era rimpicciolita, lo testimoniava la risonanza, lui sarebbe guarito e il miracolo poteva avverarsi. Per sapere se Mateo aveva ragione, dovevamo aspettare fino al 29 novembre, giorno in cui era programmata un’altra risonanza magnetica di controllo. Durante questi giorni di attesa Mateo mi dettò quello che non vorresti mai sentirti dire da tuo figlio: le volontà per il suo funerale, i fiori al cimitero che non dovevano essere troppi, di non stare troppo male per la sua mancanza, di badare alla sua sorellina e tante altre cose per me e mio marito…io incredula di quello che ci stava succedendo non potevo fare altro che piangere ed annuire.
Il 29 novembre all’Istituto Nazionale dei Tumori ci aspettavano per la risonanza magnetica…l’esito fu tragico, il tumore si era espanso di molto, sarebbero dovute ricominciare immediatamente le cure, cure che vennero però interrotte il 6 dicembre perché del tutto inutili. Mio figlio era ora senza speranze, le cure non facevano effetto e il suo corpo si spegneva piano piano… il 12 dicembre Mateo entrò in coma, i medici dissero che il suo giovane cuore sarebbe potuto resistere anche per un mese o più, ma io lo conoscevo, sapevo che il mio angelo non sarebbe rimasto a lungo su quel letto, non era da lui, se ne sarebbe andato via prima. Il giorno seguente, alle 6:30 vidi mio figlio che si stava spegnendo…il decesso fu registrato alle 7:10 del giorno 13 dicembre 2017, mi sentii morire con lui, ora mio figlio non era più con noi, non lo avrei avuto mai più al mio fianco non lo avrei più abbracciato, coccolato, mai più svegliato la mattina, ora la mia vita doveva continuare senza di lui. Quello stesso giorno mi chiesero cosa volessi che Mateo indossasse, mi colsero impreparata e raccogliendo tutta la forza di questo mondo mi recai in un negozio nel centro di Milano. Acquistai un vestito elegante blu, il suo colore preferito, la camicia bianca e cravatta blu scuro, scelsi anche le scarpe, le più eleganti, ricordo che la commessa mi chiese dove dovesse andare mio figlio con simili scarpe, perché erano scarpe che si usano in occasioni davvero speciali, risposi che doveva andare ad una grande festa e che tante persone lo stavano aspettando.
Così, come il giorno in cui è nato, l’abbiamo vestito e sistemato come un piccolo angelo ma questa volta il nostro piccolo angelo era volato in cielo.
Mateo La storia